
Dopo aver subito tre disastri in uno, il Kiwanis del Giappone si concentra su una necessità chiave: l’istruzione.
Storia e foto di Jack Brockley
A 15 anni, Souta Sasaki procedeva bene. L’indomani, 10 marzo 2011, ci sarebbero stati gli esami di diploma presso la Scuola Media di Shizugawa. Poi avrebbe frequentato le Scuole Superiori di Kesennuma e infine l’università.
Allora i suoi progetti non andavano oltre.
“Ero solo alla scuola media”, dice. “Non riuscivo a pensare molto più in là. Sapevo solo che volevo tornare a casa”.
Perché? “Perché amo la mia città”.
Alle 2.46 del pomeriggio dell’11 marzo 2011, Sasaki era seduto al suo banco all’interno della scuola sulla collina. L’inizio degli esami era previsto per il giorno successivo, insieme ai suoi compagni di classe stava sistemando i fogli che il loro insegnante aveva appena distribuito. Acirca 80 Km a est e 18 miglia sotto la superficie dell’Oceano Pacifico si distaccava un’enorme piastra tettonica. Nell’isola di Honshu crollavano sezioni di superficie terrestre. L’asse della Terra si spostò. Secondo i calcoli della NASA quello spostamento ha abbreviato la lunghezza dei giorni di circa 1,8 microsecondi.
Il grande terremoto del Giappone orientale è uno dei più potenti che abbia mai colpito il Paese. Ha generato onde, alcune delle quali hanno raggiunto circa 35 metri di altezza, che hanno provocato una fusione nucleare alla centrale nucleare Daiichi a Fukushima. Questo triplo disastro è comunemente chiamato, “11 marzo”. Secondo il dipartimento nazionale di Polizia del Giappone, sono morte più di 15.000 persone e i dispersi sono più di 2.500. L’ “11 marzo” ha cambiato il modo in cui il Giappone guarda e si prepara per i terremoti e gli tsunami nel futuro.
Ha anche disgregato il percorso scolastico di tutti i ragazzi della zona. E questo è il motivo per cui Souta Sasaki e il Kiwanis si sono conosciuti.
Nel giro di pochi minuti dalle scosse, le sirene sfrecciavano avanti e indietro per il porto, la voce calma e forte di Miki Endo echeggiò dalla collina, e diceva: “Attenzione! Si avvicina uno tsunami. Raggiungete le zone più alte”. (Endo è morta nella sua stazione quando le acque sommersero i tre piani dell’edificio dell’Ente Gestione Crisi.)

I video ripresi dall’alto, dove si trovava la scuola media, mostrano il traffico che si precipitava via dalla costa e superava le file di persone che salivano la scalinata di cemento che portava in alto, alla scuola. Le onde del mare superavano le mura alte due piani e inondarono la città. Le case cozzavano una contro l’atra e si disintegravano. Macchine e camion ondeggiavano in mezzo al fiume infuriato e pieno di relitti. In una scena si vede l’acqua che va a sbattere contro le ruote posteriori di un autobus mentre sale sulla strada verso la scuola. Il veicolo ondeggia, ma le gomme riescono ad opporre una buona trazione e l’autobus riesce a sfuggire.
Sasaki non ha visto niente di tutto questo. Gli studenti furono tenuti all’interno finché l’acqua non si ritrasse.
“C’erano incendi ovunque”, Sasaki ricorda la prima volta che vide Shizugawa. “Faceva molto freddo e nevicava”.
I suoi pensieri andarono subito ai suoi genitori.
“Pensavo che probabilmente mia madre era morta”, dice. “Era insegnante ad una scuola materna vicina alla costa. Mio padre invece, credevo che fosse al sicuro, perché la sua scuola era più lontana”.
Gli studenti della scuola media rimasero in classe per tre giorni. Sasaki e sua madre, Chika, si ritrovarono solo cinque giorni dopo. Ma suo padre, Takayoshi, era disperso. Un anno e quattro mesi dopo, il suo corpo è stato ritrovato e identificato, un’altra vittima di una delle tragedie più tristi del quel disastro. Nella scuola elementare di Okawa in cui Takayoshi insegnava a una seconda classe, 74 alunni sono morti o rimangono dispersi. Degli 11 insegnanti, dieci sono morti.
Stordito dalla perdita, Souta Sasaki vagava attraverso i detriti della sua amata città. Si è anche offerto volontario per aiutare altri sopravvissuti in un rifugio temporaneo istituito nella palestra della Scuola Elementare di Shizugawa. E’ stato lì che ha incontrato Ayumi Ogusu, una volontaria di Tokio. Ogusu comprese subito gli effetti che quel disastro avrebbe avuto sui ragazzi e sul loro percorso scolastico. Una preoccupazione che lei condivideva con altri soci Kiwanis della zona.

“Inizialmente, bambini e ragazzi vivevano in rifugi temporanei, dove c’erano anche i loro insegnanti”, dice Yoshiaki Sato del Club Kiwanis di Sendai. “Quando poi furono trasferiti in alloggi temporanei, erano molto distanti gli uni dagli altri e non c’era nessuno che poteva seguirli. Lo tsunami aveva sconvolto la loro vita e avevano perso l’abitudine di studiare, non solo a Shizugawa ma anche nelle altre zone colpite”.
Per risolvere questo problema, la socia Ogusu ha creato TERACO, un centro scolastico presso il quale i ragazzi potevano studiare e prepararsi per essere ammessi alle scuole superiori, all’università o anche per trovare un posto di lavoro. Inizialmente, i ragazzi vivevano nei rifugi, quindi TERACO operava in quelle zone. Quando le famiglie furono trasferite negli alloggi temporanei, l’Hotel Kanyo ha aperto le stanze per gli allievi del centro TERACO. Ma la situazione cambiava in continuazione, allora il centro TERACO, grazie a una donazione del Kiwanis, poté costruire una biblioteca temporanea vicino alle scuole di Shizugawa.
“Grazie a un generoso sostegno da tutto il mondo, il Kiwanis del Giappone e il Club Kiwanis di Sendai (capoluogo di provincia) hanno ricevuto più di mezzo milione di dollari, compreso un contributo dal Fondo Kiwanis per i Bambini”, spiega Sato. (Questa generosità ha tanto incoraggiato il distretto che tutti i club hanno sostenuto il progetto Eliminate). “Il Distretto Giappone e la Fondazione Kiwanis Giappone hanno istituito un Fondo Congiunto dei Club Kiwanis, gestito dai club Kiwanis delle aree colpite: Sapporo, Sendai, Fukushima e Chiba.” (Il club di Sendai ha anche creato un proprio fondo e mantiene pagine web: sendaikiwanis.jp/eng, per informare sulla distribuzione dei sostegni da entrambi i fondi. Molte scuole, per esempio, non potevano più permettersi attività extracurriculari. Il Kiwanis ha riempito il vuoto, ha fornito attrezzature sportive, organizzato spettacoli musicali e teatrali e sostenuto programmi di dopo-scuola.)
Sasaki ha studiato regolarmente all’istituto TERACO, dove ha incontrato studenti universitari volontari che gli hanno parlato del suo futuro e lo hanno sostenuto nella sua decisione di frequentare l’Università Miyagi per l’Educazione. Oggi, torna spesso a casa – a circa 100 chilometri dal suo campus a Sendai – per insegnare ai bambini.
Ha anche ottenuto un certificato come portavoce per la prevenzione delle catastrofi. Egli guida visite ai siti dei disastri e racconta ai gruppi dell’11 marzo. Si connette, attraverso i social media, con altre famiglie che hanno perso un figlio o un genitore alla Scuola Elementare di Okawa.
“Tutti fanno grandi sforzi per accettare quello che è successo”, dice Sasaki. “Hanno perso casa, parenti e familiari, ma loro sono ancora vivi. Sono determinati a fare tutto il possibile per far fronte alle loro perdite e per ricordare “.
Anche Sasaki ricorda. Suo padre era rispettato dai suoi allievi e dai colleghi, ci dice. Fra i ricordi preferiti di Souta ci sono le gite che faceva col padre Takayoshi alle sorgenti calde della zona. Ma non aveva mai visitato la scuola di suo padre. Ora ci torna spesso.
Nel febbraio scorso, in un pomeriggio freddo e ventoso, ha condotto un piccolo gruppo di soci del Kiwanis e di giornalisti al sito lungo il fiume Kitakami. Ha mostrato loro la classe di suo padre, dove una linea di barre verticali, contorte e spezzate sono l’unica prova rimasta di quella che una volta era la parete esterna. Ha raccontato della vicina strada di accesso, dove i bambini con i loro insegnanti avevano cercato invano un rifugio dall’acqua che avanzava rapidamente.
Prima della visita, Sasaki si è fermato ad un santuario. Altri visitatori avevano lasciato statuette di Buddha, piante, bastoncini di incenso e altro ancora. In silenzio, a testa bassa, Sasaki ha pregato per i bambini e gli adulti morti in quel luogo. È un rituale che ripete in tutte le comunità colpite dal disastro che lui visita.
“Non possiamo dimenticare”, dice. “Ogni generazione deve ricordare quello che è accaduto quel giorno in modo che possiamo essere preparati e impedire che accada di nuovo”.
Questa storia è apparsa originariamente nell’edizione di agosto 2017 della rivista Kiwanis.
Great postt
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